Rosemary e Guy si trasferiscono in un prestigioso appartamento di New York. Si dice che l’edificio sia teatro di rituali e omicidi. La cordialità un po’ invadente dei vicini diventa, agli occhi della ragazza, il segno di un complotto satanico ai danni del figlio che porta in grembo. I sospetti ricadono anche sul compagno. Rosemary’s Baby è avvolto da un’aura tragica già dai titoli di testa, stregati dalle note di Komeda. Sospeso tra l’idillio di Per favore, non mordermi sul collo!, produzione durante la quale Polanski e Sharon Tate si legarono, e quell’infausto 1969 che gli strappò via la giovane moglie incinta e i suoi amici (e Komeda stesso, in un bizzarro incidente in montagna), la pellicola continua a inquietare, carica di malinconia e presagi. In Polanski lo spazio è protagonista: al suo interno si delineano le traiettorie del controllo e dell’assurdo. Il film che insieme a La notte dei morti viventi di Romero ha traghettato l’horror nella modernità. Prodotto da William Castle, maestro del B-movie, valse un Oscar a Ruth Gordon.