Alfonso (Ugo Tognazzi) è un impiegato quarantenne che si sposa con Regina (Marina Vlady), una ragazza seria e discreta. Non sospetta che dopo le nozze questa si trasformerà in una mantide che lo consumerà, giorno dopo giorno, fino alla nascita di un figlio. Primo film italiano di Ferreri che attacca la concezione cattolica del matrimonio con umorismo nerissimo e un agghiacciante senso di morte dell’anima, del corpo e dei sensi. L’Italia di allora non glielo perdonerà e il film verrà bloccato in censura, per poi uscire con un titolo diverso (quello originale era L’ape regina) e alcune modifiche nei dialoghi. Racconta Ferreri: «La storia l’ho scritta con Parise, ma poi lui l’ho perso di vista, e il film è stato bloccato dalla censura per otto mesi per via di una inquadratura in cui c’era una camicia da notte lunga fino ai piedi, con un buco attorno al quale era ricamata questa massima: “Non lo fo per piacer mio ma per far piacere a Dio”. La famiglia è un caposaldo della società in Italia, e allora, parlo del ’62-’63, del divorzio non si parlava neanche alla lontana, c’era solo la Sacra Rota. Per la Marina Vlady dell’Ape regina la famiglia è solo il mezzo per assolvere alla sua concezione della donna, alla maternità, che è la cosa per la quale è stata allevata dentro una funzione chiarissima del potere familiare. L’uomo però non è una vittima, è corresponsabile di tutto il rapporto fin dall’inizio».